Una sentenza dichiara illegittimo il licenziamento di un RSPP atto a “contenere i costi gestionali” in quanto la posizione dell’RSPP non può essere “né soppressa, né esternalizzata in occasione del licenziamento collettivo”.
Una interessante sentenza di merito della fine del 2016 (Corte di Appello di Messina, Sez. Lav., 5 ottobre 2016 n.1117) si è pronunciata sul tema del licenziamento dell’RSPP ed in particolare sul collegamento tra la norma – introdotta dalla legge 98/2013 attuativa del Decreto Fare – che prevede che l’organizzazione del Servizio di Prevenzione debba essere “prioritariamente” interna e l’illegittimità del licenziamento dell’RSPP finalizzata a “contenere i costi gestionali” nell’ambito di un licenziamento collettivo.
Si tratta dunque del tema dell’“insopprimibilità del ruolo” di RSPP a fronte di una norma che impone attualmente che l’organizzazione del servizio debba essere interna e la cui applicazione ha come conseguenza diretta – secondo quanto ricordato dalla Corte nella pronuncia – che “possa quindi essere esternalizzato solo se le competenze nell’impresa e/o nello stabilimento sono insufficienti per organizzare dette attività di protezione e prevenzione (cosi l’art.7 della Direttiva CEE 12 – 6 – 1989 n. 89/391/CEE)..”
Esaminiamo il caso e i preziosi principi stabiliti dalla Corte.
Con ricorso al giudice del lavoro l’RSPP aveva impugnato il licenziamento che gli era stato intimato con una nota dalla sua Società “a conclusione della procedura di licenziamento collettivo, e ne contestava la legittimità adducendo ragioni attinenti alla regolarità della procedura e alla mancata inclusione dei dirigenti nel novero del personale chiarendo che egli aveva svoltofin dal 14 settembre 2000 mansioni di responsabile del servizio di prevenzione e protezione per le strutture di Hotel … tutte appartenenti alla società …”
L’RSPP “deduceva inoltre illegittimità del recesso per violazione dell’art. 31 D.Lgs.81/2008, giacché con la riduzione del personale veniva soppressa la funzione da lui svolta fino a quel momento, nonostante la normativa imponesse di ricorrere a personale interno per il servizio di prevenzione e protezione.”
Pertanto egli chiedeva “che venisse accertata la nullità del recesso, con la condanna alla riammissione in servizio e al risarcimento del danno, commisurato alla retribuzione goduta al momento della cessazione e decorrente dal licenziamento fino all’effettiva riammissione in servizio, ovvero, riconoscendo la violazione delle procedure previste per il licenziamento collettivo, con la condanna al pagamento del’indennità risarcitoria nella misura massima.”
Dal canto suo la società, costituitasi in giudizio, rilevava che “la procedura si era svolta regolarmente, che era stato risolto il rapporto anche con sei dirigenti, e quanto alla violazione del D.Lgs. 81/2008, che la normativa in questione poneva l’obbligo di nominare il responsabile del servizio di prevenzione e protezione all’interno solo nei casi specificati, tra i quali non erano comprese le strutture alberghiere, sicché risultava legittima la soppressione della posizione di Responsabile Sicurezza e Manutenzione.”
All’esito della fase sommaria, il giudice del lavoro con ordinanza dichiarava illegittimo il licenziamento e, ritenendo che si configurasse la violazione dei criteri di scelta ex art.5 L.223/1991 in quanto non poteva essere soppressa la posizione lavorativa di responsabile del servizio prevenzione e protezione, a cui era addetto il … ne ordinava la reintegrazione con condanna al risarcimento del danno commisurato all’ultima retribuzione globale di fatto dal licenziamento fino alla effettiva reintegra.” (La legge citata in sentenza è la Legge 23 luglio 1991 n. 223 recante “Norme in materia di cassa integrazione, mobilità, trattamenti di disoccupazione, attuazione di direttive della Comunità europea, avviamento al lavoro ed altre disposizioni in materia di mercato del lavoro”(G.U. n. 175 del 27 luglio 1991), il cui titolo I contiene “Norme in materia di integrazione salariale e di eccedenze del personale”e il cui articolo 5 è dedicato ai “Criteri di scelta dei lavoratori ed oneri a carico delle imprese”).
La società si era opposta alla ordinanza, lamentando – tra le altre cose – “la erroneità dell’assunto sulla insopprimibilità del ruolo di responsabile del servizio prevenzione e protezione”.
L’RSPP si era costituito in giudizio “affermando la correttezza dell’interpretazione data dal primo giudice alla normativa contenuta nel D.Lgs. 81/2008 e chiedendo il rigetto del’opposizione.”
Con sentenza il Giudice del Lavoro ha accolto l’opposizione della società e rigettato la domanda originariamente proposta dal lavoratore.
L’RSPP ha così ricorso in appello “sottolineando la erroneità della pronunzia nella parte in cui aveva escluso la insopprimibilità della posizione già da lui occupata in azienda alla luce delle disposizioni del D.Lgs. 81/2008”.
La sentenza della Corte d’Appello dà ragione all’RSPP.
Questa pronuncia sottolinea anzitutto che “la controversia sulla legittimità del licenziamento intimato al [RSPP] si accentra sulla possibilità per il datore di lavoro di sopprimere la posizione del lavoratore per contenere i costi gestionali, nonostante la posizione lavorativa di responsabile del servizio prevenzione e protezione, a cui questi era addetto. Il licenziamento, infatti, è stato espressamente motivato con la necessità si sopprimere la posizione di responsabile sicurezza e manutenzione ed è incontroverso che proprio il… svolgesse tali mansioni presso la struttura regionale… appartenente alla società e comprendente Hotel ….”.
Secondo la Corte, “la lettura dell’art 31 del DLgs.81/2008 (nel testo risultante dalla modifica introdotta con l’art 32, comma 1 lett b-bis) DL 21 – 6 – 2013 n. 69 conv.L9 – 8 – 2013 n.98), conduce alla conclusione che il serviziodi prevenzione e protezione deve essere interno all’azienda e possa quindi essere esternalizzato solo se le competenze nel’impresa e/o nello stabilimento sono insufficienti per organizzare dette attività di protezione e prevenzione” (cosi l’art.7 della Direttiva CEE 12 – 6 – 1989 n. 89/391/CEE).
In tal senso depone infatti l’art.31 del D.Lgs, che così dispone:
Art. 31. Servizio di prevenzione e protezione
1. Salvo quanto previsto dall’articolo 34, il datore di lavoro organizza il servizio di prevenzione e protezione prioritariamente all’interno della azienda o della unità produttiva, o incarica persone o servizi esterni costituiti anche presso le associazioni dei datori di lavoro o gli organismi paritetici, secondo le regole di cui al presente articolo.
2 Gli addetti e i responsabili dei servizi, interni o esterni, di cui al comma 1, devono possedere le capacità e i requisiti professionali di cui all’articolo 32, devono essere in numero sufficiente rispetto alle caratteristiche dell’azienda e disporre di mezzi e di tempo adeguati per lo svolgimento dei compiti loro assegnati. Essi non possono subire pregiudizio a causa della attività svolta nell’espletamento del proprio incarico.
3. Nell’ipotesi di utilizzo di un servizio interno, il datore di lavoro può avvalersi di persone esterne alla azienda in possesso delle conoscenze professionali necessarie, per integrare, ove occorra, l’azione di prevenzione e protezione del servizio.
4. Il ricorso a persone o servizi esterni è obbligatorio in assenza di dipendenti che, all’interno dell’azienda ovvero dell’unità produttiva, siano in possesso dei requisiti di cui all’articolo 32.
5 Ove il datore di lavoro ricorra a persone o servizi esterni non è per questo esonerato dalla propria responsabilità in materia.
6 L’istituzione del servizio di prevenzione e protezione all’interno dell’azienda., ovvero dell’unità produttiva, è comunque obbligatoria nei seguenti casi:
a) nelle aziende industriali di cui all’articolo 2 del decreto legislativo 17 agosto 1999, n 334, e successive modificazioni, soggette all’obbligo di notifica o rapporto, ai sensi degli articoli 6 e 8 del medesimo decreto;
b) nelle centrali termoelettriche;
c) negli impianti ed installazioni di cui agli articoli 7, 28 e 33 del decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 230, e successive modificazioni;
d) nelle aziende per la fabbricazione ed il deposito separato di esplosivi, polveri e munizioni,
e) nelle aziende Industriali con oltre 200 lavoratori;
f) nelle industrie estrattive con oltre 50 lavoratori;
g) nelle strutture di ricovero e cura pubbliche e private con oltre 50 lavoratori.
1. Nelle ipotesi di cui al comma 6 il responsabile del servizio di prevenzione e protezione deve essere interno.
8. Nei casi di aziende con più unità produttive nonché nei casi di gruppi di imprese, può essere istituito un unico servizio di prevenzione e protezione. I datori di lavoro possono rivolgersi a tale struttura per l’istituzione del servizio e per la designazione degli addetti e del responsabile.”
La pronuncia chiarisce che “la norma riportata in effetti stabilisce che il servizio deve essere organizzato dal datore di lavoro “prioritariamente” all’interno dell’azienda, utilizzando cioè personale interno e tale obbligo è rafforzato dalla previsione che gli addetti devono possedere i requisiti professionali stabiliti e che nell’ipotesi di utilizzo di un servizio interno il datore di lavoro potrà avvalersi di persone esterne all’azienda per integrare, ove occorra, l’azione di prevenzione e protezione del servizio.”
La conclusione del ragionamento da parte della Corte è la seguente: “E’ pertanto evidente il carattere subordinato del ricorso a competenze esterne all’azienda, nonché la possibilità di ricorrere a queste solo in caso di insufficienza all’interno della struttura.”
Dunque, “rapportando tale disposizione al caso in esame, emerge chiaramente la illegittimità del recessoattuato con il licenziamento collettivo: il lavoratore era stato infatti destinato alla funzione di responsabile sicurezza e manutenzione della struttura regionale aziendale …, che svolgeva da molti anni, e tale posizione lavorativa non poteva essere né soppressa, né esternalizzata in occasione del licenziamento collettivo poiché la legge impone al datore di lavoro di organizzare tale funzione con personale interno prioritariamente.
Non può quindi che ritenersi assolutamente illegittimo il comportamento della società, la quale ha proceduto al licenziamento dell’unico lavoratore che svolgeva la indicata funzione provvedendo, secondo l’assunto addotto a motivazione del recesso, ad esternalizzare il servizio nonostante fosse presente in azienda un lavoratore dotato delle competenze richieste, il quale svolgeva fino a quel momento proprio tali funzioni.”
La Corte d’Appello conclude: “accertato che la società non avrebbe potuto esternalizzare il servizio, ne deriva che si configura una violazione dei criteri di scelta nell’ambito del licenziamento collettivo poiché il vizio riguarda la individuazione del lavoratore licenziato, sicché risulta applicabile la tutela reale di cui all’art. 18, 4° comma L. 300/1970, come modificato dalla L.92/2012.”
La società è stata così condannata “alla reintegrazione e al pagamento dell’indennità risarcitoria, commisurata all’ultima retribuzione di fatto dal licenziamento sino all’effettiva reintegrazione, in riforma della sentenza impugnata”,oltre agli “interessi e rivalutazione monetaria, nonché al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali dal licenziamento all’effettiva reintegrazione”e alle “spese giudiziali di entrambi i gradi del giudizio possono porsi a carico della società”.
Anna Guardavilla
Dottore in Giurisprudenza specializzata nelle tematiche normative e giurisprudenziali relative alla salute e sicurezza sul lavoro