Sappiamo affrontare il rischio dei disastri naturali e artificiali?

15 Mag , 2017 - Senza categoria

Sappiamo affrontare il rischio dei disastri naturali e artificiali?

Sappiamo affrontare il rischio dei disastri naturali e artificiali?

Un documento si sofferma sul tema dei disastri e sulla loro prevenzione. La classificazione dei disastri, la perdita della memoria e l’importanza di cogliere dal passato utili elementi per strategie di prevenzione efficaci.

Pisa, 15 Mag – Un “disastro” si può definire (Samuel Henry Prince) ‘un evento che produce la sovversione dell’ordine o del sistema delle cose’, un evento che può “svolgere un ruolo importante, quello di prevenzione per il futuro delle conseguenze catastrofiche conseguenti a questi eventi”. E bisogna tener conto delle differenze dei termini “disastro” e “catastrofe”:

– con ‘disastro’ si “tende a identificare un evento che provoca un danno grave, ma con conseguenze che possono essere in qualche modo riassorbite dal sistema colpito in un lasso di tempo relativamente breve senza che quest’ultimo collassi;

– il termine ‘catastrofe’, invece, indica un rovesciamento o capovolgimento per lo più improvviso e brutale che produce una drastica variazione della struttura di un sistema, in genere irreversibile, tale da determinarne la sua degenerazione, spesso il collasso o distruzione”.

 

A parlare in questi termine dei “disastri” e ad affrontare il tema da diversi punti di vista (causa e memoria dei disastri, riduzione del rischio, resilienza e resistenza, …) è un documento del Prof. Ing. Nicola Marotta relativo al Master di Secondo Livello in Management in Sicurezza dei Luoghi di Lavoro e Valutazione dei Rischi dell’ Università di Pisa.

 

In Resilienza e Resistenza ai disastri” il Prof. Marotta ricorda, con riferimento alla “teoria delle Catastrofi” (René Thom) che un evento disastrogeno “provoca sempre una discontinuità del contesto sociale nel quale gli individui e le strutture sociali hanno funzionato fino al suo verificarsi ed un allontanamento dallo schema di aspettative quotidiane condivise da una collettività, in riferimento al quale la teoria potrebbe fornire un interessante contributo di conoscenza in rapporto alle sue capacità di ripresa”. E riconoscere il valore di questa teoria significa, dunque, “concentrarsi sulle condizioni sociali che rendono possibile questo passaggio e, quindi, valutare come una società può prepararsi al meglio per affrontare potenziali casi di disastro prima che questo si verifichi e non a posteriori, a conti fatti, restando così sempre all’interno di una logica di emergenza”.

 

L’autore opera poi una classificazione dei disastri.

 

Si indica che a livello operativo una delle classificazioni più comuni, non senza limiti, “si basa sulla causa scatenante l’evento: da un lato i disastri naturali (natural disasters) quelli che vengono chiamati “Atti di Dio” (Acts of God), per accentuare il carattere di incontrollabilità nel loro manifestarsi, dall’altro quelli provocati dall’uomo (Acts of Man) i cosiddetti man made disasters che si riferiscono a fenomeni ‘artificiali’ causati dall’azione umana”. Tuttavia in molti casi la mano dell’uomo “contribuisce a causare l’evento disastrogeno, o ad aggravarne gli effetti, per effetto di azioni a bassa sostenibilità ambientale come la deforestazione, la cementificazione incontrollata, l’allevamento intensivo, la rimozione di zone umide, l’urbanizzazione, ecc”. E la stessa denominazione “disastro naturale” è “inappropriata e anacronistica: è infatti il comportamento umano che trasforma i rischi naturali in ciò che noi chiamiamo disastri naturali. A ciò si aggiunge il fatto che, anche processi ordinari, come le innovazioni tecnologiche, i cambiamenti demografici, le trasformazioni sociali, ovvero semplici attività economiche, provocano non di rado conseguenze significative sull’ambiente circostante e su taluni fenomeni idrometeorologici o geofisici, almeno nel lungo periodo”. Ed è da rilevare che a seguito dei disastri naturali “si presentano quasi sempre effetti cui contribuisce in diversa misura l’uomo, e anche laddove questi eventi risultano al di fuori del controllo umano, la vulnerabilità delle popolazioni e dei beni è in genere l’effetto di attività o omissioni umane che riguardano tanto comportamenti successivi al disastro (soccorsi, aiuti, ecc.), quanto comportamenti preesistenti, riferiti alla prevenzione e alla necessità di preparazione della popolazione al disastro”. Ad esempio – continua il Prof. Marotta – “poco o nulla risulta finalizzato, nella normativa di sicurezza e tutela della salute nei luoghi di lavoro, alla riduzione dei fattori di vulnerabilità delle comunità aziendali (intese come insieme integrato di persone, macchinari, attrezzature ed edifici) secondo logiche di vera prevenzione e di puntuale risposta organizzativa alle diverse tipologie di rischio (naturale o ambientale) che sono destinate a innestarsi su contesti di per sé pericolosi come le aree destinate alla produzione di beni o servizi. Particolare critica, in questa prospettiva è anche l’assenza di specifiche figure professionali addestrate a gestire le procedure e i dispositivi di protezione aziendali in concomitanza di eventi eccezionali e del tutto peculiari come possono essere i disastri naturali al pari di quelli tecnologici e ambientali”.

 

Rimandando ad una lettura integrale del documento, che si sofferma anche sul tema delle cause, ci soffermiamo brevemente sulla loro memoria dei disastri.

 

Infatti uno dei problemi della società attuale è “la perdita di memoria dei disastri. Cancellare dalla memoria i disastri significa non solo cancellare la possibilità di apprendimento che da determinate esperienze può scaturire per affrontare meglio questi fenomeni quando si ripresentano, ma soprattutto privarsi di un avvertimento, un monito che sempre dovremmo tener presente nelle nostre scelte future”. È necessario fare in modo che la storia dei disastri del passato “possa trasformarsi in uno strumento utile a mettere a punto strategie di prevenzione efficaci per evitare che i disastri possano ripetersi in futuro”.

A questo proposito sono ricordati anche alcuni passati disastri (terremoto del Val di Noto del 9 e dell’11 gennaio 1693, il disastro di Monongah del 6 dicembre 1907, il disastro di Dawson del 22 ottobre 1913, Marcinelle dell’8 agosto 1956, l’alluvione di Firenze del 4 novembre 1966 e il disastro del Vajont del 9 ottobre 1963) e la Legge 14 giugno 2011, n. 101 concui è stata istituita la “Giornata nazionale della memoria delle vittime dei disastri ambientali e industriali causati dall’incuria dell’uomo” (9 ottobre).

 

E riguardo alla memoria dei disastri non esiste in Italia “una robusta strategia di riduzione del rischio, articolata in azioni concertate, che parta dall’educazione nelle scuole e dall’informazione alla popolazione, che preveda sistematicamente esercitazioni di emergenza, la pianificazione di interventi di rinforzo delle abitazioni, l’applicazione rigorosa delle normative edilizie, la delocalizzazione di edifici strategici e di impianti industriali a rischio. Al momento la prevenzione in Italia viene percepita soprattutto come declamazione di luoghi comuni e slogan, puntualmente rispolverati dopo ogni tragedia”. In realtà compito dell‘uomo è “cogliere il contributo che la storia dei disastri può offrire, analizzando e studiando i disastri, non solo negli aspetti tecnici ma anche sociali e organizzativi, per non commettere nuovamente gli stessi errori, cosi che le tragiche vicende delle quali la storia è testimone non possano più ripetersi”. Infatti molte delle “lezioni apprese” dai disastri avvenuti in passato, “sono servite per trarre insegnamenti e pratiche poi trasfuse, in misura adeguata, nelle prassi, nelle norme tecniche e leggi in materia di sicurezza, nei più svariati settori: dalla sicurezza contro i terremoti, le esondazioni, alla sicurezza contro i sistemi franosi, dalla sicurezza degli impianti industriali, alla sicurezza ingegneristica in edilizia, alla sicurezza contro gli incendi, alla sicurezza nei trasporti, etc., fino al settore aerospaziale”. In questo senso la pedagogia dei disastri è il “tentativo di capire cosa abbiamo appreso dai disastri passati e apprenderemo da quelli futuri, quali misure di mitigazione la società può intraprendere e quali approcci individuali e collettivi possiamo assumere per avere un atteggiamento resiliente e resistente”.


Comments are closed.