La responsabilità per infortunio accaduto per l’inidoneità di un DPI

3 Lug , 2017 - Senza categoria

La responsabilità per infortunio accaduto per l’inidoneità di un DPI

La responsabilità per infortunio accaduto per l’inidoneità di un DPI

Con riferimento al comportamento di un lavoratore infortunato ritenuto abnorme dal suo datore di lavoro che ha ricorso alla Corte di Cassazione contro la sentenza di condanna emessa nei suoi confronti dalla Corte di Appello e quindi interruttivo  del nesso di condizionamento, la suprema Corte ha ribadito un principio ormai consolidato in giurisprudenza e cioè che il comportamento del lavoratore infortunato è interruttivo del nesso causale fra l’evento e la condotta del datore di lavoro non quando è “eccezionale” ma quando è “eccentrico” rispetto al rischio che il garante della sicurezza è chiamato a governare. Non è stato, infatti, ritenuto interruttivo dalla Corte di Cassazione la condotta del lavoratore che nella circostanza ha subito gravi ustioni per aver versato del metallo fuso in stampi bagnati e per non avere tenuta abbassata la visiera dello scafandro che aveva a protezione del viso messogli a disposizione dal datore di lavoro e ciò però non per sua trascuratezza ma per l’inidoneità della protezione stessa.

 

Il fatto, l’iter giudiziario e il ricorso in Cassazione

La Corte d’appello ha riformato, limitatamente alla concessione della sospensione condizionale della pena ritenuta di giustizia e confermandola nel resto, la sentenza con la quale il Tribunale ha condannato il datore di lavoro e socio accomandatario di una società in accomandita semplice per il reato di lesioni personali colpose ex art. 590 cod. pen., con violazione di norme prevenzionistiche a danno di un lavoratore dipendente della società medesima. All’imputato era stato addebitato di avere cagionato l’evento lesivo del lavoratore in violazione degli artt. 37, commi 1, 3 e 5, 28 comma 2 e 77, commi 3 e 4, lettere a), b) e d) del D. Lgs. n. 81/2008. Tale evento lesivo si era verificato presso i locali della società allorquando il lavoratore, dopo aver proceduto alla fusione dell’alluminio in un crogiuolo, ne versava un quantitativo in uno stampo, risultato successivamente bagnato. Il lavoratore e allorquando veniva improvvisamente investito dagli schizzi del metallo fuso provocandosi le gravi ustioni di cui all’imputazione.

 

La ricostruzione dei fatti e delle responsabilità oggetto di addebito, emersa in primo grado sulla scorta della deposizione del lavoratore e di altre testimonianze, é stata successivamente confermata dalla Corte territoriale, che aveva censurato il fatto che il datore di lavoro avesse omesso di prestare la dovuta vigilanza sull’operazione affidata al lavoratore, che gli avesse fornito un casco obsoleto e inadatto a proteggerlo e che avesse fornito una formazione inadeguata circa l’utilizzo del dispositivo di protezione individuale.

 

Avverso la sentenza della Corte di Appello il datore di lavoro ha ricorso in cassazione per il tramite del suo difensore di fiducia articolando il ricorso stesso in due ordini di motivi. Con il primo motivo l’esponente ha sostenuto che il lavoratore era adibito al forno da circa dieci anni, che era un lavoratore esperto e che ben conosceva l’operazione in occasione della quale si era procurato le lesioni. Lo stesso ha sostenuto che lo scafandro affidato al lavoratore era stato giudicato conforme alla normativa dall’ispettore della ASL e che pertanto gli obblighi posti a suo carico di cui agli articoli 28, 37 e 77 del D. Lgs. n. 81/2008 erano stati osservati per cui nessun addebito gli si poteva muovere in termini di colpa specifica.

 

Con il secondo motivo il ricorrente ha messo in evidenza che il lavoratore aveva commesso un errore nell’effettuazione dell’operazione a lui richiesta e che pertanto l’evento, sul piano eziologico, doveva ricondursi alla condotta abnorme, eccezionale e imprevedibile dello stesso lavoratore che, pur avendo un’esperienza decennale, aveva riferito di non avere compreso (a causa della sua asserita sconoscenza della lingua italiana) il motivo per il quale doveva indossare lo scafandro. Non si comprendeva altresì a che titolo potesse essere a lui addebitato di non avere formato a sufficienza il lavoratore, pur avendo adempiuto ai propri doveri formativi in relazione ai quali peraltro, come confermato dall’ispettore della ASL, nessun addebito era stato formalizzato a carico della società.

 

Le decisioni della Corte di Cassazione

Il ricorso é stato ritenuto infondato per cui non ha trovato accoglimento. La Corte di Cassazione ha fatto presente che la Corte di merito aveva evidenziato che il lavoratore infortunato in occasione dell’episodio calzava lo scafandro, sia pure scorrettamente, in quanto egli, come aveva anche fatto a suo dire in precedenti occasioni, teneva sollevata la visiera perché altrimenti gli avrebbe impedito la visuale. Di qui si era arrivati al convincimento che da un lato il dispositivo di protezione individuale non fosse adeguato (la visiera aveva finalità protettive, ma il fatto che essa impedisse all’operaio la visuale la rendeva inidonea allo scopo) e, dall’altro, che il datore di lavoro non aveva adeguatamente esercitato né il dovere di istruire il lavoratore sull’impiego del detto dispositivo né il potere-dovere generale di vigilanza sulla sicurezza dei lavoratori, attribuito dal D. Lgs. n. 81/2008 al datore di lavoro.

 

Quanto al profilo formativo, la Sez. IV ha messo in evidenza che la Corte territoriale aveva chiarito che lo stesso era stato affrontato dall’imputato in modo del tutto inidoneo e insufficiente, e solo formalmente corretto, tanto più che il lavoratore, a causa della sua scarsa dimestichezza con la lingua italiana, non aveva compilato il questionario all’uopo sottopostogli, che era stato invece compilato al suo posto da un collega.

 

Il fatto poi, ha proseguito la suprema Corte, che il lavoratore fosse adibito all’operazione che stava compiendo già da lungo tempo, come dedotto dal ricorrente, non esimeva l’imputato da responsabilità sul piano formativo in quanto l’adempimento degli obblighi di informazione e formazione dei dipendenti, gravante sul datore di lavoro, non é escluso né é surrogabile dal personale bagaglio di conoscenza del lavoratore, formatosi per effetto di una lunga esperienza operativa.

 

Quanto al profilo dell’omessa vigilanza, il datore di lavoro da un lato non aveva controllato che il lavoratore calzasse lo scafandro nel modo dovuto e, dall’altro, non gli aveva fornito indicazioni sulla capacità del crogiuolo e sulla pericolosità dell’operazione in occasione della quale il lavoratore aveva riportato le lesioni, specie con riguardo al rischio, poi concretizzatosi, insito nel versare il metallo fuso in stampi che si presentavano bagnati. La Corte suprema ha quindi ricordato che in tema di prevenzione di infortuni sul lavoro, il datore di lavoro deve non solo predisporre le idonee misure di sicurezza ed impartire le direttive da seguire a tale scopo ma anche e soprattutto controllarne costantemente il rispetto da parte dei lavoratori, di guisa che sia evitata la superficiale tentazione di trascurarle.

 

A proposito, infine, della ritenuta abnormità del comportamento lavoratore, che secondo il ricorrente aveva costituito l’unica vera causa dell’accaduto, la suprema Corte ha precisato che, come chiarito dalla giurisprudenza apicale di legittimità, la condotta abnorme del lavoratore é interruttiva del nesso di condizionamento quando essa si collochi in qualche guisa al di fuori dell’area di rischio definita dalla lavorazione in corso. “Tale comportamento”, ha così concluso la suprema Corte “é ‘interruttivo’ (per restare al lessico tradizionale) non perché “eccezionale” ma perché eccentrico rispetto al rischio lavorativo che il garante é chiamato a governare”. Il fatto che il lavoratore non avesse tenuto abbassata la visiera (per suo errore, ma anche per inidoneità dello scafandro messogli a disposizione) non si poteva certo considerare “eccentrico” rispetto ai rischi della lavorazione di cui l’imputato, nella sua qualità di datore di lavoro, era gestore.

 


Comments are closed.